Echi di un Mondo Perduto

Nel cuore pulsante del Medioevo, un'epoca in cui il mondo conosciuto era circondato da nebbie di mistero e terre non mappate, la figura di John Mandeville emerge con la forza di un racconto che confonde la linea tra realtà e finzione. Con il suo "Libro dei viaggi", Mandeville non si limita a tracciare un itinerario di esplorazione geografica; egli dipinge un affresco vivido e crudo dell'umanità, nelle sue meraviglie e orrori, un viaggio che sfida la percezione stessa della realtà.
Attraverso le sue pagine, il Medioevo si apre come un libro di cui la maggior parte delle pagine è ancora da scrivere, un tempo in cui l'orizzonte oltre il conosciuto brulica di possibilità tanto eccitanti quanto terribili. L'opera, immersa in un'atmosfera di inquietante fascino, ci porta in un mondo dove le leggi della natura sembrano soggiacere a logiche diverse, un universo popolato da creature e popoli che sfidano l'immaginazione: uomini con orecchie lunghe come mantelli, emafroditi che delineano un'umanità altra, sfuggente alla nostra comprensione ordinaria.
Il viaggio di Mandeville, seppur avvolto nel mistero della sua autenticità – contestata e dibattuta, attribuita ora a un medico francese, ora a un abate o a un ignoto scrittore –, non perde il suo potere evocativo.
Mandeville, presentandosi come un cavaliere inglese di St. Albans, narra di aver iniziato il suo lungo viaggio nel 1322, viaggio che lo portò a diventare mercenario al servizio del sultano, a esplorare la Palestina, seguire la Via della Seta, e a visitare l'India, l'Asia e la Cina, fino a servire nell'esercito del Gran Khan per quindici anni. Al suo ritorno in Europa, Mandeville avrebbe offerto il manoscritto dei suoi viaggi a Juan de Bourgogne, il quale lo rese pubblico. Tuttavia, le speculazioni sulla vera identità dell'autore, con alcuni che lo identificano con il medico francese Jean de Bourgogne o altri personaggi, contribuiscono al fascino e al mistero che circondano l'opera.
Mandeville, Jean de (Recueil d'Arras, f. 267)La questione se dietro lo pseudonimo si celasse Jean de Bourgogne (1), Jean le Long (2) o un altro ancora, alimenta il mito di un'opera che, nella sua essenza, trascende l'importanza dell'identità del suo autore per assumere un valore universale. (nell'immagine il presunto ritratto del viaggiatore)
La narrazione di Mandeville, con il suo tono ora umanizzato, ora crudele, rivela un profondo senso di curiosità verso l'altro da sé, ma anche una certa predisposizione all'orrore davanti a ciò che non si conforma alla norma. Le terre lontane, con i loro abitanti mostruosi, diventano lo specchio di una ricerca interiore, un confronto con l'ignoto che interroga direttamente l'animo umano (Fig. 1). Queste terre sono ricche di meraviglie e peculiarità, quali uomini con orecchie pendenti fino alle ginocchia e comunità di emafroditi, contribuì a disegnare l'immaginario europeo dell'Oriente come un luogo di straordinaria diversità e fascino. Questo viaggio non è solo geografico ma anche, e forse soprattutto, esistenziale, portando il lettore a confrontarsi con le proprie paure, i propri pregiudizi e la propria capacità di meraviglia.
L'opera di Mandeville si colloca in un momento storico in cui l'Oriente rappresentava il confine estremo della conoscenza, un orizzonte carico di promesse e minacce. I suoi racconti, ricchi di elementi fantastici (Fig. 2) ma anche di particolari verosimili, riflettono la complessità di un'epoca in cui il desiderio di esplorare si scontrava con i limiti dell'immaginario collettivo. In questo contesto, Mandeville si fa portavoce di un Medioevo in bilico tra la scoperta e l'invenzione, tra il bisogno di mappare il mondo e la tentazione di popolarlo con le proiezioni del fantastico.
La figura di Cristoforo Colombo (3), ispirato dai racconti di Mandeville nella sua storica impresa verso il Nuovo Mondo, testimonia l'impatto profondo che quest'opera ha avuto sul corso della storia.
Colombo, armato della convinzione di poter raggiungere l'Estremo Oriente navigando verso ovest, si imbarcò in un viaggio che avrebbe ribaltato le conoscenze geografiche dell'epoca, spinto da un'idea di mondo plasmata anche dalle visioni di Mandeville. Tuttavia, al di là delle ambizioni e delle scoperte, quello che emerge è il confronto crudo con la realtà: un "Nuovo Mondo" sì ricco di meraviglie, ma privo dei mostri e delle leggende che popolavano le pagine di Mandeville, un mondo in cui l'oro e le spezie si mescolavano al sangue e alla violenza della conquista.
In conclusione, il "Libro dei viaggi" di John Mandeville si rivela un'opera di straordinaria potenza narrativa e simbolica, un ponte tra il conosciuto e l'ignoto che continua a interrogare il lettore sulla natura dell'esplorazione e sulla definizione stessa dell'umanità. In esso, l'avventura si intreccia alla riflessione, la curiosità al terrore, in un viaggio senza tempo che ci invita a esplorare non solo i confini del mondo ma anche quelli della nostra anima.

(1) Giovanni di Borgogna, noto come Giovanni senza Paura (in francese Jean Ier de Bourgogne, dit Jean sans Peur) (Digione, 28 maggio 1371 – Montereau-Fault-Yonne, 10 settembre 1419), è stato conte di Nevers dal 1384 al 1405 e Duca di Borgogna, conte di Borgogna (Franca Contea), Artois e Fiandre dal 1404 alla sua morte.
(2) Jean le Long d'Ypres, o Jean de Long detto, Johannes Longus, Yperius, Iperius (circa 1315-1383), è un monaco benedettino francese famoso per le sue traduzioni dal latino al francese, in particolare di racconti di viaggi in Estremo Oriente.
(3) Cristoforo Colombo è stato un navigatore ed esploratore italiano della Repubblica di Genova, attivo in Portogallo e in Spagna come capitano di mare al comando su navi mercantili, tra i più importanti protagonisti delle grandi scoperte geografiche europee a cavallo tra il XV e il XVI secolo. 

Fig. 1
Fig. 2

Alcune pagine del libro in questione le trovate in fondo pagina:
Il manoscritto di Mandeville, unico per la sua pergamena tinta di verde e splendidamente illuminato con miniature a tutta pagina, rappresenta un capolavoro del gotico internazionale. Questa peculiarità ne fa un oggetto di notevole interesse storico e artistico, testimoniando l'elevato status sociale dei suoi destinatari e la ricercatezza estetica dell'epoca. Acquisito dalla Biblioteca Vaticana grazie a donazioni che seguirono la conquista di Granada, e successivamente da Samuel Woodburn, il manoscritto attraversa la storia come simbolo delle intersezioni culturali e del desiderio di conoscenza che caratterizzarono il Medioevo.
Tra le pagine di un'opera d'arte in pergamena, troviamo 28 splendide miniature a tutta pagina, frutto della maestria del gotico internazionale e opera dello stesso talento che ha dato vita al martirologio di Usuardo di Gerona. Questo tesoro artistico e storico, secondo quanto annotato da Samuel Woodburn nel 1785-1853, ha trovato una nuova dimora grazie a 'M. Pesch', il quale lo aveva precedentemente acquistato da un monaco di Roma. Quest'ultimo affermò di averlo ottenuto direttamente dalla Biblioteca Vaticana, luogo al quale era arrivato dalla Spagna subito dopo la conquista di Granada. Una donazione niente meno che di Isabella la Cattolica a Papa Alessandro VI, membro della famiglia Borgia, testimonia il viaggio straordinario di questo manufatto attraverso la storia e la cultura europea.


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