Il Lachera, improvvisatore

Il Lachera, l'Improvvisatore.

Giuseppe Lacheri, detto il Lachera, morì nel 1864, ma fece in tempo a dire tutto quello che pensava del Nuovo Regno d'Italia, di cui il Granducato faceva parte da qualche anno. "e s'avea a notar nell'oro...!" diceva il Lachera scuotendo maliziosamente nella tasca del suo celebre grembiulone le monetine di rame - i pezzi da 5 e da 10 centesimi - coniate da Vittorio Emanuele II. L'ottocento fiorentino ha avuto molti illustri personaggi, ma nessuno è stato ricordato, celebrato, citato, quqanto il popolarissimo Lachera, al quale nessuno, peraltro, ha mai pensato di fare un monumento, a parte una banale targa, - col grembiule, il panchetto, il vassoio di pere cotte - magari al mercato, oppure in un giardino pubblico, o anche davanti ad una scuola. Si perchè questi furono i luoghi dove si svolse preferibilmente il minuto commercio del Lachera e dove nacque, di volta in volta, il suo immancavole, mordace, commento ai fatti del giorno. Il celebre venditore ambulante girava da mattina e sera le strade di Firenze, soprattutto quelle del mercato, si fermava col suo panchetto e col suo vassoio davanti alle scuole o nei giardini pubblici, e vendeva un po' di tutto a seconda delle stagioni, dalle ore della giornata, dei gusti del pubblico: le ciambelle, la schiacciata con l'uva, le frittelle, le pere cotte, il castagnaccio, la trippa... era basso di statura, corpulento, aveva un faccione tondo, due occhi vivaci e simpatici che si muovevano senza sosta sotto la visiera del berretto di panno calcato sulla fronte, ed aveva soprattutto una bocca che non si fermava mai, mai chiusa e mai zitta. Quando il Lachera l'apriva, non lo faceva mai inutilmente. Lo faceva per dire, senza riguardi a nessuno, il proprio pensiero, che era poi quello stesso della parte più popolare della città. Lo faceva con spirito, seguendo una tradizione che non si era mai spenta nell'antica culla degli spiriti bizzarri. Di quegli spiriti ebbe a dire un testimone contemporaneo, il macchiaiolo Telemaco Signorini"... Raffaello Foresi scriveva il "Pievano Arlotto", sintetizzando lo spirito fiornetino, Miciolle prima (il faceto calzolaio), il Lachera dopo ( lo spiritoso venditore di pere cotte) mostrando evidente come Firenze fosse sempre il paese che aveva dato il Burchiello, il Berni, il Lasca...". 

 

Il Lachera

Giuseppe Lacheri detto il "Lachera",
foto  dello Studio di Alphonse Bernoud
in via dell'Oriolo 51


"Libro per ridere", Francesco Dani fiorentino, Editore Adriano Salani, Viale Militare, Firenze, 1905

Giuseppe Lacheri, volgarmente chiamato il Lachera, nacque in Firenze. Piccolo di statura e goffo di forme, aveva un faccione a luna piena, un occhio guercio e una gamba un poco storta. La sua voce era stridula e assordante.

Lo si vedeva girare per le strade di Firenze, col suo bel grembiale bianco sempre pulito, ora con la teglia delle ciambelle, ora con la schiacciata con l'uva, oppure con una specie di barella con sopra le teglie delle pere cotte.

Vendendo i suoi generi, soleva dire delle spiritose facezie, frizzi e motti pieni di brio, tanto che era avvicinato volentieri da ognuno. Aveva delle satire per tutti, senza però recar molestia. 

Un giorno a un forestiero che stava ammirando il Porcellino di bronzo, presso le Loggie del Mercato Nuovo, dopo il restauro fatto dal Papi, disse in tono scherzoso ; — icchè la guarda ? Quando l'ha guardato bene bene, glie il medesimo porco!

Però il Lachera era funestato dalla crudele malattia della sincope. Per ben due volte il pover uomo fu creduto morto e portato per conseguenza all'asilo mortuario, e tutte e due le volte se ne tornò a casa sua, con grandissimo stupore della sua famiglia.

Per la qual cosa soleva dire a un certo Susini, custode dell'asilo : — Portateceli morti bene, se no fanno le capriole!

Tra le sue più celebri buffonerie, il Lachera era solito far queste. Essendo a quei tempi le processioni sacre assai comuni in Firenze, egli compariva in processione con soprabito nero, cappello a cilindro, col torcetto in mano, e faceva dei gesti cosi curiosi e ridicoli, da far ridere tutta la popolazione.

Nel carnevale ei si metteva alla testa de' suoi amici, tra' quali Grillo, Tattarillo, Fatano, il Testa, il Barba, il Nenna e tanti altri, formando con essi una curiosa combriccola, mascherandosi nelle più strane maniere e nei più bizzarri costumi, adoprando un corbello per grancassa, per tromba una di quelle da infiascare il vino, dei carapanacci ed altri simili curiosi arnesi, da fare un baccano, una vera casa del diavolo!

Il Lachera morì... davvero nel 1864, per non più risuscitare! Egli non fu dimenticato da quanti lo conobbero nei bei tempi passati, e ancora vengono ricordati i suoi motti spiritosi.


Componimento del Lachera
Testamento del Lachera,
Firenze 1866 dalla Tipografia Salani (Fondaccio di San Niccolò 26)
 

In quel paese, appunto, il Lachera si muoveva a meraviglia senza perdere un'occasione per dire una battuta che, poi, avrebbe fatto il giro della città. Quando vendeva il pan di ramerino, era solito gridare " Via donne, e ce l'ho con l'olio...", ma se per caso passavano i Granduchi in carrozza, il venditore cambiava subito grido: "Via donne, e ce l'ho co' babbalocchi...".  "La venga sposa, la prenda questo coso caldo in bocca; se la non si spiccia non gliene tocca!", declamava, vendendo il castagnaccio.
Come si sa, dopo i moti del '48, il granduca Canapone se ne ne andò a Gaeta, e ritorno nel '49 con l'appoggio delle baionette austriache. (una faccenda che non piacque ai toscani e forse nemmeno al granduca). Ebbene in quello stesso anno, alle Logge del Mercato Nuovo, fu restaurata la fontana bronzea del cinghiale, opera di Pietro Tacca, e tale avvenimento attirò l'attenzione del Lachera il quale si piazzò subito con il suo panchetto e la teglia di pere cotte vicino al cinghiale, alternando i convincenti richiami commerciali ("bambini piangete che la mamma ve le compra...") a poco velati riferimenti ai due fatti dell'anno: "E l'hanno ripulito, ma gli è sempre un porco...!". Chi fosse quel "porco" lo capivano tutti, certamente anche i gendarmi granducali, ma non risulta che il Lachera non sia mai stato arrestato, E nemmeno ebbe noie, quando nei giorni precedenti alla pacifica rivoluzione del 27 aprile del 1959, che segnò la fine del regno di Canapone, il Lachera cambiò merce nella teglia, ci mise la Pattona, calda e fumante,, e si mise a gridare per le strade: "Gente, come la bolle...! Gente, questa volta bolle davvero...!".
 

La Lapide del Lachera al Mercato Nuovo
Targa dedicata al lachera al Mercato Nuovo

targa del Lachera al Porcellino
Targa dedicata al lachera al Mercato Nuovo
 

Ma chi era il Lachera? Cosa pensava del mondo, della vita, degli uomini? Bisogna credere al Collodi: "... Il Lachera non era nemmeno un tipo: era piuttosto la facezia arguta e frizzante fatta uomo; era il vero brio sarcastico fiorentino, travestito da venditore di pere cotte o di torta coll'uva, a secondo della stagione. Il Lachera, morendo, portò via con sè molta parte di quel riso geniale, che fa buon sangue e che usava al tempo dei vostri vecchi, che sapevano ridere tanto bene...". Il Lachera, si disse , mori nel 1864. ( anzi ci provò un paio di volte a morire prima, e lo portarono come morto all'ospedale, ma non ci riuscì, e ritornò alle sue strade, alle sue pere cotte, alle sue battute, più in salute di prima). Dal 1859 al 1864 avrebbe dovuto tacere, essendo orami lontano da Firenze il Granduca, il bersaglio preferito del suo sargasmo, ma il Lachera viveva di spirito e qualcuno doveva farne le spese: fosse anche la cosa più sacra, come il tricolore che i fiorentini avevano cucito segretamente la vigilia del 27 aprile, e che ora potevano esporre liberamente ad ogni festa, ad ogni occasione. "Donne, e c'è i cenci...!" gridava a squarciagola l'incorreggibile popolano, reclamizzando i dolci sul vassoio e guardando le bandiere esposte alle finestre.

[...] Primeggiava fra tutti, benché non conciatore - scrive Giuseppe Conti - ma addobbato come loro con la giubba, il mazzo dei sigilli e la camicia con la lattuga, il famoso Lachera venditore ambulante di dolci ma più specialmente di ciambelle, rinomato per la sua estrema pulizia, avendo sempre il grembiule e la camicia di bucato. Ma il Lachera non era celebre soltanto per le ciambelle, sivvero per la mordacità dei suoi frizzi e delle sue spiritosaggini, che sferzavano a sangue. Fu l'ultimo fiorentino bizzarro che rappresentasse quei tipi amenissimi e pieni di spirito del passato. Il Lachera veniva spesso richiamato dal Commissario del Buon Governo per le sue allusioni al Granduca, in specie quando lo vedeva passare in carrozza: il Sovrano portava la tuba, e il Lachera, figurando di vendere certi dolci che avessero quel nome, aveva il coraggio di dirgli sul viso: Babbalocchi a cilindro! Detto che rimase poi famoso. [...]

Forse non ce laveva mai avuto col Granduca, cosi come non ce l'aveva con Vittorio Emanuele II. Il fatto è che il Lachera, con quel suo perenne andare per le strade, con quei suoi occhi intelligenti, conosceva il mondo e gli uomini, non si faceva plagiare dalla retorica, vedeva il lato umoristico di ogni situazione, aveva il gusto - cosi fiorentino - di ridimensionare il mito di una battuta, di dir male, magari, anche delle cose che amava. E cosi rigirava i soldini di rame coniati dal Re, li faceva tintinnare nella tasca del suo grembiule, che aveva più macchie di un quadro del Signorini, e correggeva il dolce zuccheroso delle frittelle con l'amaro del suo commento: " e s'avea a notar nell'oro, e savea e invece gli è tutto rame... Lo dicean figliacci di puttane... ma per loro!". Una frase che nessuno dimenticò mai, anche quando il Lachera, nel 1864, chiuse per la prima volta - e per sempre - la sua bocca fiorentina. 
 

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