Insegne popolari fiorentine

Insegne popolari fiorentine

di Dino Provenzal, 1906

Una delle cose che più hanno contribuito a mutare la fisonomia della città è indubbiamente la trasformazione dei negozi. Immaginate per un momento che scompaiano come per incanto tutte le mostre di cristallo e di legno scolpito, tutte le vetrine ampie, gremite di gingilli d'ogni forma e colore, tutti quegli artifici con cui i venditori eccitano la fantasia dei passanti invitandoli e quasi sforzandoli a comprare, dalle lampadine elettriche scintillanti e girevoli che destano bagliori dai brillanti falsi, ai grammofoni che strillano ed ai ragazzetti vestiti di rosso che vi ficcano in mano per forza un manifestino: immaginate che a tutto questo si sostituiscano poche bottegucce oscure, silenziose, meschine... e addio Galleria, addio Pavaglione, e addio via Calzaioli e Corso e via Toledo!

Insegna Aristocratica

Eppure la trasformazione dei negozi è cosa recente: basta pensare che vent'anni fa le insegne di cristallo che ora si vedono da per tutto erano ancora sconosciute nelle città di provincia.

E i nostri vecchi ricordano ancora la catinella e le forbici poste davanti alle botteghe dei barbieri e il molare gigantesco e sanguinoso dei cavadenti, i prosciutti in grandezza naturale dei salumai, le piastre di latta tinta di rosso dei flebotomi, le frasche enormi dei venditori di vino. Un proverbio molto vecchio avvertiva, è vero, che «il buon vino non ha bisogno di frasca», ma d'altra parte nessun negoziante accorto avrebbe fatto a meno di quelle insegne chiare e parlanti non meno dei simboli inquadrati nello stemma di un gran signore.

Poi a poco a poco la smania del lusso e il diminuire dell'analfabetismo hanno sostituito alla suggestione dell'oggetto direttamente esposto nella ancor più insinuante della parola scritta: non tutto ad un tratto però: tutti ricordiamo il tempo in cui era molto frequente (e sembrava graziosissimoi vedere nelle botteghe dei cappellai figurine umane disegnate a furia di cappelli artisticamente disposti, o disegni rappresentanti uomini fatti di salsicce esposti dai salumai, e via di seguito. Ma anche questi ormai sono diventati rarissimi e presto scompariranno anche i tanti cervi d'oro, vitelli rossi, cavalli bianchi, e le tre corone e le tre stelle e le due spade che adornano l'ingresso degli albergucci di quart'ordine.

E anche le iscrizioni mutano rapidamente. Non è facile oggi trovare il galletto con la leggenda: «Quando questo gallo canterà credenza si farà», oppure: «Domani si fa la barba gratis» o anche: «Oggi non si fa credito, domani sarà» e anche il dittico oleografico del panciuto signore che vende a contanti e del povero rovinato che vendeva a credito è diventato una rarità. Non c'è più tempo da perdere e non c'è voglia di scherzare. Un cartello bianco a lettere nere vi dice: «Prezzi fissi», un altro «Pronti contanti» e qualche volta un terzo: «Non si cambia la merce venduta». E basta: non va bene far troppe osservazioni sul prezzo seccando i giovani che stanno dietro il banco: vedete come sono diventati seri e compassati! non si chiamano più «ministri» come li chiamavano nella Toscanina di cinquant'anni fa, ma in compenso sono dignitosi come «ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni».

Ma non tutto è scomparso quanto ci ricorda il piccolo mondo antico. E noto che nel 1911 a Roma avremo una grande Mostra Etnografica italiana: ebbene, allora chi darà un'occhiata alle insegne popolari e osserverà il luogo di provenienza di ciascuna, vedrà, forse con meraviglia, che una buona parte di essa è stata raccolta nelle città maggiori d'Italia. Allora forse qualcuno, con l'aiuto delle insegne raccolte, penserà a dare all'Italia uno studio ricco e ordinato sull'argomento che da noi èstato finora appena sfioratoti mentre, per non parlare di altre nazioni, la Francia ha già da sette anni la stupenda opera del Grand Carteret.

Appunto nel nucleo della raccolta preparata per la Mostra ho spigolato le poche notizie per questo articolo. Per ora il Comitato ordinatore che risiede in Firenze ha raccolto sopra tutto insegne fiorentine. Poco ho veduto di fuori di Firenze: salami, formaggi, prosciutti di cartapesta, insegna di un salumaio abruzzese il quale può dire come Dante: «Non vide me' di me, chi vide il vero»; un bastimento con tutti i suoi amminicoli eseguiti scrupolosamente da mano maestra, insegna di un venditore di pesce: e alcune curiose piastre di cartone con cinque o sei o sette grandi dischi neri. Queste lo dico subito per chi non conoscesse la caratteristica usanza sono insegne di osteria. Quando uno ha la fortuna di non saper leggere o per il troppo vino bevuto ha perduto l'r e tutte le altre lettere dell'alfabeto, vedendo cinque enormi dischi, disposti in modo macabro come i punti del cinque nel domino, capisce che c'è del vino da cinque soldi.
Ma passiamo alle insegne fiorentine. Eccone due in cui si sente il calenbour  il bisticcio tanto frequente nel popolo toscano.

Due figure: il cuoco e l'avventore

La prima deve fare la reclame ai fagiuoli, al cibo tradizionale fiorentino tanto che fin dal tempo antico, si suol dire: Fiorentin mangiò fagioli, leccapiatti e tovaglioli.

Due figure, il cuoco e l'avventore, fanno bella mostra di una testa ciuchesca; e la scritta dice: «Fagioli cociuchi inforno». La ragione che a Firenze il volgo bassissimo dice cociuchi (cociuti), per dir cotti; e l'autore dell'insegna che appartiene ad uno strato sociale un po' superiore si divertito a burlare la pronunzia cociuchi mostrandone l'equivalenza con l'espressione co' ciuchi. L'altra è addirittura un rebus: Credenza è morta e Fido sta male: la Credenza è raffigurata in una donna e Fido, giustamente, in un cane, poich quel nome proprio (mi si perdoni il bisticcio) comunissimo fra i cani.

Quest'ultima insegna naturalmente si può trovare in botteghe di qualsiasi genere, ma notevole che la maggior parte delle insegne caratteristiche si trovano presso i venditori di roba da mangiare.

... l'altra ¨ addiruttura in rebus

Perché? Probabilmente perché¨ come ciascuno è dotto nel proprio mestiere, i venditori di generi alimentari sanno che una reclame ben congegnata, allegra, vivace, stuzzica l'appetito, mentre nei negozi di vestiario o di altri oggetti destinati a durare si preferisce istintivamente un aspetto serio e composto che quasi sembra dare affidamento della... serietà  della casa. Cosi l'insegna rebus è frequentissima nel Veneto, per le osterie: voi vedete due oche accanto alle quali è scritto vin e altre due con scritto accanto bon: e voi potete leggere: O che vin, o che bon!

Curioso è anche l'osservare  come spesso il venditore burla la propria merce: chi non ricorda di aver visto mille volte a Roma la scritta: Vanno cattrjo o di avere udito un venditore ambulante lodare il suo sapone puzzolentissiino!

Qui abbiamo un venditore di coccoli (una specie di frittelle di farina bianca) che per glorificare scherzevolmente il proprio commercio adopera tutti i termini pomposi delle esotiche insegne d'albergo: «Specialità della ditta», «Premiata alle esposizioni», «Automobile, telefono»; soltanto le medaglie sono di pomodoro e son proprio 28 (numero mistico in Toscana!) e il telefono ha il numero zero e c'è un adorabile: «On parlè francaise». 

Qui abbiamo un venditore di "coccoli..." . Un venditore di "topini"

La figura più notevole di questo quadro è il ritratto somigliantissimo di Mario Palazzi, il gigante fiorentino, l'incarnazione vivente dell'aforisma Homo longus, raro sapiens. Il popolo dice di lui che ha venduto il suo scheletro al Museo di antropologia e che un giorno ruzzolando da una scala fu tutto contento di essersi rotto una costola, pensando cosa di aver frodato il Museo a cui non darà più uno scheletro completo! Da giovane fu guardaportone del Granduca, poi autore di farse che il popolo applaudiva furiosamente per il gusto di veder quell'anima lunga affacciarsi all'usciolino del sipario; ora vivacchia vendendo cartoline illustrate col proprio ritratto e fa lunghi colloqui col suo fido bastone nuovo, perché il vecchio gliel'ha comprato il Comitato della Mostra Etnografica.

Ma non soltanto Mario Palazzi figura in parecchie insegne popolari: spesso nella folla dei compratori che si stringono attorno ad un banco si scorge qualche tipo di delegato di pubblica sicurezza: il Cammarota, per esempio, si puù vedere in moltissime insegne.

Cos'è quel gobbino che nell'insegna dei coccoli sta dietro al Palazzi deve esser certo un ritratto perché l'ho ritrovato più volte.

Frequente poi, anzi, direi quasi costante, l'uso di mettere il ritratto del venditore, una specie di marca di fabbrica. Cosi è un ritratto quello del venditore di Topini alla veneziana, certi topini di farina dolce imitati cosi bene che il gatto li guarda di traverso. Quell'aggiunta alla veneziana non significa nulla: come dire alla milanese, alla romana, all'americana.
A questo proposito ne dirà una curiosa: in Toscana i castagnacciai vendono quasi sempre anche certe torte assai buone fatte di farina di ceci. Ebbene, a Livorno si vede scritto: «Castagnacci e torte alla genovese»; a Pisa le chiamano torte alla livornese e a Firenze ho veduto scritto: torte alla pisana. C'è di che fare impazzire un cultore di gastronomia comparata! E' incredibile poi come si sbizzarrisca la fantasia degli autori d'insegne.

Accanto a costumi antichi, per esempio, al tipo dell'araldo probabilmente derivato da quelli che ogni buon toscano ha veduto al Palio di Siena i si vedono figure contemporanee: ricordo un'insegna di cocomeraio in cui si vede una gran dama che fa fermare l'automobile per comperare una fetta di cocomero. Talora riescono a vincere difficoltà  quasi insuperabili. Come fareste voi, per esempio, a rappresentare in forma viva quell'intruglio di cui sono ghiottissimi i marinai e che si chiama, con vocabolo Dio sa di quale origine, cacciucco?

L'artista popolare vi è riuscito. Ha composto due viluppi, specie di nodi salomonici, formati da piccoli pesci e poi ha scritto: «oggi cacciucco» con le lettere della leggenda tutte composte di pesciolini. Alcune insegne rivelano con la sobrieà del colore e con una certa eleganza di disegno la mano dell'artista: e infatti, accanto alle rozze pitture, opera dello stesso venditore, ci sono quelle lavorate da un vero e proprio pittore d'insegne. E il principe di questi a Firenze è Arturo Pezzella, di cui non mi è riuscito avere altra fotografia all'infuori dinquella che presento al lettore: l'artista vi si mostra in abito da festa ed in posa, purtroppo, e quindi è meno caratteristico.

Arturo Pezzella

La poesia, per attirare il compratore, si accompagnan bellamente alla pittura e qualche volta la supera. Per esempio, in un cartone è disegnato un modesto bicchiere, mentre e una grande scritta vi avverte:

Alto è ! ! !
Fermati o Passeggero
Non andar più di trotto
Bevi la limonata
Per 1 soldo il Gotto.

Augurandoci che il bicchiere sia molto colmo per compensare la sillaba che manca nell'ultimo verso, leggiamo i versi più generosi di un bruciataio (venditore di castagne arrostite):

La salute si ottiene, cittadino
Con le bruciate che vende Giovannino.

Ma le più caratteristiche insegne che si trovino ancora in Firenze sono quelle dei cocomerai. Quando cominciano le giornate afose di agosto e la città è tutta vuota perché la colonia straniera è ritornata a casa propria e i signori se ne sono andati ai monti ed al mare, restano a Firenze quei poveri borghesi, impiegati, ecc., i quali dicono ironicamente che se ne vanno a villeggiare a Florence-les-Bains e il popolo basso: i ciompi che senza tumulto ripigliano possesso della loro bella e democraticissima città.

Allora tutti in una volta spuntan fuori mille banchi di cocomeri e piantan le tende proprio nel cuore della città, in piazza del Duomo, in piazza San Marco, in piazza della Signoria: probabilmente nessuno d'inverno tollererebbe quelle scritte azzurre e rosse smaglianti nelle austere piazze di Firenze accanto ai monumenti testimoni della fede e della grandezza degli avi. Ma d'estate, ripeto, i signori schizzinosi se ne sono andati e per fortuna il frutto democratico, bello dei tre colori nazionali, viene a maturazione d'estate.

La nota che domina in queste iscrizioni, come è giusto, quella che chiamerei refrigerante: non c'è alcuna parola del vocabolario invernale che non sia trovi in queste insegne: fresco, freddo, ghiaccio, gelo, ghiacciato, sono parole ripetute a sazietà. 

«...Bagnanti che si tuffano e sguazzano in mare…»

E le pitture vi danno laghi della Svizzera, marine verdissime, montagne coperte di neve, bagnanti che si tuffano e sguazzano in mare, tutte visioni gelide che vi fanno morir di sete e di arsura al solo pensarci; e in alto, in basso, in mezzo, cocomeri rossi come il tuoco. Le iscrizioni sono talvolta lunghissime: quartine, sestine, ottave. Leggiamone qualcuna:

Fermati o passeggiero un solo istante.
Qui gusti ciò che non hai mai gustato
Un cocomero buono e rinfrescante
Rosso pien di sapor, tutto ghiacciato.
Io benedico ognora delle piante
Che si eccellente fruito m'hanno dato.
BEPPE crede poterti contentare
Se non ti piace poi non lo pacare.

Sotto questa iscrizione si vede Beppe in persona che serve una ragazza e una bambina mentre un di Beppe.

Il cocomero rosso è di Masino;
è un vero gelo tutto zuccherino.
E Masino mette bene in mostra davanti agli avventori
alcune fette di cocomero.
Alla gentil Firenze
Offro questo mio dono
A tutti assai gustevole,
Rosso granito e buono.
Felice a chi gli tocca.
Gela proprio la bocca.

Questi versi bianchi in un cielo azzurrissimo, s'intendono pronunziati da una formosissima ragazza, la quale voltando le spalle al Duomo, alla Torre di Giotto, al Battistero, e pavoneggiandosi in un costume molto scollacciato, offre una colossale fetta di cocomero.

L'incendio del cocomero.

Ma qualche volta il cocomero può essere tanto ghiacciato da far paura a chi non ha denti buoni, e vedete in una tavola multicolore e popolata di varie figure la leggenda: Chi ha il dente ghiaccio lo non si accosti. (Dente ghiaccio lo dicono in Toscana quel dente cariato che soffre l'impressione del freddo), oppure può esser tanto rosso da far temere un incendio e vedete i pompieri correre premurosi a spegnerlo. Può essere cosi buono da vincere l'Eva moderna come già il pomo famoso vinse l'antica madre: e vedete il giovine galante servirsene per espugnar la sua bella.

Par proprio di sentirlo gridar

Guardate quel mostruoso vecchio che grida a squarciagola squarciagola (senza iperbole questa volta) la propria merce e ditemi se non vi par proprio di sentirlo gridare vedendo la bocca spalancata, le narici dilatate, le lanose gote in agitazione.
Il primo quadro riprodotto in quest'articolo, con la leggenda bianca sul fondo azzurro e la piazza del Duomo disegnata con minuzia scrupolosa, ha il torto di esser troppo leccato, troppo preciso, troppo fotografico, ma la colpa probabilmente più che dell'artista popolare è del venditore che ha voluto superar tutti i suoi colleghi con la grandezza (l'originale misura m. 1 per 1,80) e la ricchezza dell'insegna: un venditore di prima classe che si da  il lusso perfino di una cassetta per le bucce.
Potrei continuare per un pezzo a parlare di queste insegne; ma mi basta di averne dato un cenno, lieto se questo farà  venir voglia a qualche lettore d'incoraggiare ed aiutare la bella collezione: tanto più che le difficoltà  per formarla non mancano. A Firenze, per esempio, ci vuol molta oculatezza prima di far degli acquisti, perché dopo che furono comprate le prime insegne, appena fu conosciuta questa mania collezionistica che ai buoni popolani deve essere apparsa molto ridicola, cominciarono a venir fuori certi visi sospetti, i quali vollero e vogliono continuamente offrire in vendita delle insegne non meno sospette. Naturalmente i bravi organizzatori della mostra le rifiutano; essi non possono fare a meno di osservare che come il vecchio proverbio toscano diceva: «Fatta la legge trovato l'inganno», oggi potrebbe dirsi: «Nato il collezionista gli spunta accanto il falsario».

La Lettura, "rivista mensile del Corriere della Sera", Redazione e Amministrazione, Milano, via Solferino 28, 1906

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